dopo di te

|RECENSIONE| Dopo di te - Jojo Moyes

agosto 14, 2017












Copertina del libro
Dopo la morte di Will, Louisa Clark si sente persa, svuotata.
È passato un anno e mezzo ormai, e Lou non è più quella di prima.
I sei mesi intensi trascorsi con Will l'hanno completamente trasformata, ma ora è come se fosse tornata al punto di partenza e lei si sente di dover dare una nuova svolta alla sua vita.
A ventinove anni si ritrova quasi per caso a lavorare nello squallido bar di un aeroporto di Londra in cui guarda sconsolata il viavai della gente.
Vive in un appartamento anonimo dove non le piace stare e recupera il rapporto con la sua famiglia senza avere delle reali prospettive.
Soprattutto si domanda ogni giorno se riuscirà mai a superare il dolore che la soffoca.
Ma tutto sta per cambiare.
Quando una sera una persona sconosciuta si presenta sulla soglia di casa, Lou deve prendere in fretta una decisione.
Se chiude la porta, la sua vita continuerà così com'è: semplice ordinaria, rassegnata.
Ma se lei ha promesso a sé stessa ed a Will di vivere, e se vuole mantenere la promessa, deve lasciar entrare ciò che è nuovo.













Sono sempre stata convinta che l'Opera Omnia di uno scrittore sia solo una.
Infatti qui ci troviamo ad un calo vertiginoso di idee, un tanto atteso seguito che risulta penoso e che ad ogni pagina peggiora sempre di più, sempre di più...fino a sfociare in un libro pieno di cliché, descrizioni atte solo ad allungare la straziante durata del libro, dialoghi talvolta più che imbarazzanti, incidenti gravissimi da cui tutti riescono a guarire in poco tempo e cose messe a caso.
Volutamente non parlerò dello stile frettoloso, con poco rispetto delle regole base della scrittura e dei tempi verbali, ma sembra sul serio che questo libro lo abbia scritto una ragazzina di dodici anni (con rispetto per le ragazzine di dodici anni che, indubbiamente, sanno scrivere meglio) pestando a caso i tasti sulla tastiera e producendo una fan fiction di bassa lega di “Io prima di te”.

L'unica cosa che ho apprezzato è stata l'onestà nei ringraziamenti alla fine del libro: i lettori di tutto il mondo hanno chiesto alla Moyes, pregandola in ginocchio con messaggi privati e petizioni, di sapere Lou che fine avesse fatto.
E gli editori l'hanno perseguitata, evidentemente, vedendoci soldi facili.
Così la Moyes ha ridato vita a Lou, ma non l'originale, divertente, sfrontata e tutta calze a righe gialle e nere Ape Maya Style abbinate a vestitini di paillettes verdi vintage e ballerine dai colori improponibili, ma ad una fotocopia sbiadita e monotona fatta di anonimi jeans e magliette che si trovano dai cinesi.
In sostanza: ha scritto un libro dalla trama rosa qualunque – il suo solito genere – ed ha cambiato i nomi con quelli dei personaggi del libro precedente, ovvero le regole base – repetita iuvant – della costruzione di una fan fiction.

La nostra amica Clark aveva promesso a Will che avrebbe vissuto la sua vita, così ha comprato appartamento e mobilia a Londra dopo aver fatto il giro del mondo, sperperando tutti i soldi del lascito (ricordiamo che Will le aveva detto chiaramente che doveva riprendere a studiare moda, e i soldi servivano a quello e per farla vivere serenamente). Oggi la ritroviamo che lavora come cameriera infelice in aeroporto, perché le vecchie abitudini sono vecchie a morire e se sei un'ereditiera che non sa gestire i soldi alla fine finisci così.
Beve vino, tanto, cammina sul cornicione della terrazza...
Insomma cosa mai può capitarti, se non cadere da cinque piani per colpa di una voce femminile sconosciuta che ti ricorda che non dovresti stare lassù?
Ovviamente cade, ma mica muore come tutti i comuni mortali, no: grazie al tendone aperto – di notte – ed una “sdraio costosa di vimini” del vicino di casa (cito, poiché non ho parole in merito), atterra sul morbido, quindi viene soccorsa dal paramedico (che più avanti ritornerà con furore nella narrazione) e si salva con qualche lieve danno, cosa di poco se si conta che solo dopo due mesi da costole e clavicola incrinati e dalle due operazioni all'anca, Lou è di nuovo a lavoro, sempre in piedi e sempre presente (perché ha un capo odioso che le ha pure rinfacciato di essersi presa due mesi di malattia e non può perdere questo lavoro così soddisfacente!) e, strano a dirsi, senza fare fisioterapia.

Louisa Clark: la nuova miracolata.

Come se non bastasse, i suoi genitori, credendola una suicida per la disperazione di aver perso Will, la iscrivono al gruppo di sostegno “Guardare avanti” e sarò sincera: a parte i primi incontri e sporadici interventi sensati, sono tutte battute alla tipo “I biscotti sono immangiabili, il caffè fa schifo” e continui punzecchiamenti tra i partecipanti che poi, alla lunga, stancano.
Quello che stanca di più, però, è come un personaggio chiave come Lily – la proprietaria della voce sconosciuta che Lou sente prima di cadere – sia stato introdotto a forza, con una storia fin troppo pesante (che potrebbe capitare, certo, ma l'esagerazione di voler colpire l’immaginario del lettore a tutti i costi non ha limiti), genitori volutamente assenti e ricchezza a palate.
Salto per il vostro bene la storia smielata tra Lou ed il paramedico Sam (l’unico uomo che flirta al citofono), i continui riferimenti ad ogni tre parole al libro precedente e la lite grottesca che vede protagonisti i genitori di Clark (ceretta inguinale del padre compresa).

Quando si perde qualcuno per suicidio il dolore è straziante, ti chiedi sempre il perché di un gesto simile.
Ma come ho scritto precedentemente nella recensione di “Io prima di te” (clicca qui per leggerla), Will ne aveva tanti, di perché.
Allora mi chiedo per quale motivo Lou abbia deciso volontariamente di non vivere, di non andare in cura da uno psicologo per superare il trauma.
Insomma, parliamoci chiaro: guarisce solo chi vuole guarire, e la nuova versione di lei mi suggerisce che la maturità acquistata nel primo libro era solo apparenza.
Se i motivi che hanno portato al suicidio assistito sono chiari, non ha senso rivangare il passato: vai avanti Clark, era quello che Will desiderava per te.

A differenza del precedente capitolo, molto curato e molto esplicativo sul mondo dei tetraplegici, questo libro è patetico, raffazzonato, superficiale e senza un nesso logico: Lou decide di guardare avanti all'improvviso e solo verso gli ultimi capitoli come se fosse avvenuto un miracolo (bis), senza esplorare il mondo della depressione post-suicidio di chi si ama.
Avrei preferito che tutte le pagine fossero permeate di delusione, depressione, infelicità e, solo alla fine, di una rinascita, della rinnovata voglia di vivere e trovare un nuovo amore, invece il lettore non fa altro che esclamare, pagina dopo pagina: “Lou, sei un'emerita deficiente!”.

Molti condonano questa insufficienza di empatia che la Moyes fa provare al lettore nei confronti di Clark (complice anche un rifiuto di un lavoro ben retribuito e con tutti i santi crismi per ritornare a fare la cameriera nello squallido bar che detesta, pregando quasi in ginocchio il capo che odia – sarò ancora più sincera di prima, ma a questo punto ho avuto voglia di abbandonare sul serio la lettura) solo perché è da intendersi come “libro a se stante”, quindi goderselo così com'è se senza recriminazioni.
E no, amici miei: se stampate sulla copertina “il tanto atteso seguito di Io prima di te” quasi più grande del titolo stesso (in proporzione alla grandezza del carattere si può intuire quanto scadente sia il prodotto) …non è un libro come un altro.
È un dannatissimo seguito.
Scritto solo per fare soldi e per accontentare i lettori di tutto il mondo che si sono mobilitati per farsi scrivere a comando la degna conclusione per un libro tanto amato.

Che poi, vista e considerata la qualità, forse era meglio lasciare Lou seduta al tavolino di Parigi con la lettera di Will in mano, con lo sguardo rivolto verso un futuro incerto, senza l'uomo che ama ma comunque con la speranza di sopravvivere a questo enorme dolore.














Recensione a cura di:








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